Loricati in abito bianco

Loricati in abito bianco
Loricati su Serra Crispo

lunedì 31 dicembre 2012

Sul Pollino in "punta di coltello"

In vetta al Pollino, sullo sfondo il Dolcedorme
La rampa di Serra delle Ciavole
Dopo tanti mesi di assenza al consueto appuntamento natalizio col Pollino non si poteva non cominciare con Serra della Ciavole.
Le sensazioni e le emozioni che restano durante e dopo un passaggio tra i grandi pini loricati danzanti sulla più bella, aerea e luminosa della creste del Pollino ci nutrono lo spirito a lungo.
E' un giro che con la neve è assolutamente da fare ed il godimento che si prova 'danzando' sugli sci tra questi giganti solitari valgono da soli il viaggio e la fatica.

Temevamo che il paventato rialzo termico potesse ridurre troppo il manto nevoso, ma ciò non è avvenuto. Anzi, abbiamo dovuto calzare gli sci già all'altezza del piano di Visitone e fatto la prima parte del percorso scambiando quattro chiacciere con un gruppo di Materani diretti al colle di Gaudolino.
Curioso pensare che tra tutti i presenti ero l'unico della zona. Perchè per apprezzare le bellezze naturali che si hanno a portata di mano bisogna allontanarsene?
Io per la verità le apprezzavo anche quando ero in loco assieme a diversi miei coetanei, dopo di allora però quelli della mia generazione hanno smesso e quelli delle successive non hanno nenache cominciato.


Lo scheletro di un pino

I primi loricati che svettano dal sentiero





Il classicissimo loricato all'uscita dal bosco
E dire che con l'evoluzione delle techiche e delle attrezzature adesso si possono fare cose che una volta richiedevano fatiche improbe! Ma ritorniamo al giro. Dopo poche centinaia di metri sotto l'ultima nevicata comincia a comparire il fondo 'vecchio' e ben compattato dal ciclo di sciroccate diurne e gelate notturne e che promette una bella sciata al ritorno. Il sentiero nel bosco è il solito viaggio da capitan Nemo sul fondo del mare, con i faggi che interpretano la parte dei coralli. La traversata dei piani ci regala il piacere di lasciare l'unica traccia che si snoda tra i dossi arrotondati ed i primi pini che si affacciano sul 'terrazzo' che divide la parte alta da quella bassa. Incrociamo tracce di qualche volpe e di qualche lupo che ci hanno preceduto, sicuramente di notte ed, infine, ci affacciamo dalla cresta ad ammirare le timpe, il golfo di Sibari, la lunghissima cresta della Manfriana, tutte le altre vette del massiccio e, più lontano, il luccicore del Tirreno ed i massicci del Sirino, dell'Alpi, le cime minori che coronano il Mercure ed in fondo il Vulturino.
La vista quasi infinita è dovuta al 'venticello' da Nord ben teso, che ci consiglia di togliere le pelli velocemente ed avviarci in discesa.Dopo il primo tratto un pò più ripido, cerchiamo una traiettoria che ci faccia traversare la parte alta dei piani senza doverci spingere.Il tratto successivo è una danza morbida, con il sole che tramonta dietro il Pollino. Anche il tratto nel bosco è magnifico, nessuno ci ha rotto il fondo. Arriviamo fino in fondo ai piani di Vacquarro, dove ripelliamo per riportarci al colle Impiso. Da qui sciamo per sulla strada fino alla  nostra fida auto.
Dopo qualche giornata di lauti pasti e giri a km 0 ritorniamo alle pendici del Pollino.


Si comincia a ballare sulle punte
E' appena passata una veloce perturbazione che ha rimesso a posto le temperature. Stavolta arriviamo in auto a fino a Colle Impiso, la neve bagnata diventata via via gelo ha trasformato la strada in una pista da pattinaggio e dobbiamo lavorare di piccozza per ancorare l'auto che si stava avviando in discesa per i fatti suoi (le gomme da neve hanno fatto il loro dovere, ma da ferme evidentemente non tengono)
Il contrattempo ci costa una mezzoretta aggiuntiva, ci avviamo poi verso Gaudolino.

I faggi sono arabescati dalla neve umida diventata ghiaccio, a Gaudolino lo stradto nevoso è molto più compatto e duro, e già nel primo tratto servono i rampanti. Nell'ultimo tratto, all'uscita del bosco, anche con quelli si fatica a restare in piedi e rimpiango i ramponi lasciati in macchina.
Meno male che ho la piccozza che entra bene e dà sicurezza. L'uscita nei pressi del pino loricato 'a bandiera' è spettacolare, ed il successivo traverso dà i brividi, e non solo per il vento gelido che ci accarezza.
Sono passato tante volte da questo punto senza rendermi conto che se lo strato di neve superficiale non è ben ancorata al fondo, si potrebbe staccare un lastrone e sai che volo!
In effetti questo punto potrebbe essere messo in sicurezza con una quarantina di metri di cavo di acciaio, non sarebbe una spesa proibitiva per le casse dell'ente parco.
Superato il punto critico, con le lame dei rampanti che mordono bene ed a fondo il ghiaccio si volta pagina.
Tipico del Pollino mostrare volti completamente differenti nello spazio di poche centinaia di metri,
il pendio sud, al di sopra della grande dolina, mostra parecchi sassi, ha sofferto del rialzo termico dei giorni passati. Non si può quindi salire direttamente ma troviamo un bel percorso alternativo.
Tagliamo in alto la dolina con una lunga diagonale scendente ed aggiriamo il pendio sud, portandoci sul canale che divide la cresta nord dalla cresta sud est. Qui l'innevamento è magnifico, con la neve compattissima e con dieci cm di firn superficiale.
Risaliamo questo fino a portarci sotto la dolina di vetta e raggiungiamo la vetta.
La tentazione di scendere per la nord è forte, ma non sappiamo cosa possiamo trovare, forse il fondo è stato strappato via dal vento e possono esserci sassi affioranti. In cima la neve è stata scolpita ed arabescata dal vento che ha generato le caratteristiche 'rose di ghiaccio'.
Scendiamo quindi dal canalone sud-est e tagliamo poi in direzione della sella Doldedorme.
Qui ci prendiamo un meritato riposo con rifocillamento (in vetta l'aria era troppo fresca) e raggiungiamo i piani con una bella sciata tra i faggi semi-seppelliti dalla neve.
Sembra un labirinto ma ci si districa bene.
Attraversando tutti i piani rinveniamo delle impronte di lupo che ad un tratto sembrano sparire dietro uno dei massi sparsi qui e la a mo di monolite.
Il sole ormai volge al tramonto, scendiamo per il bosco godendo di una bella e lunga discesa su un fondo compatto e arriviamo pattinando fino in fondo ai piani di Toscano, dove ripelliamo e facciamo l'ultima risalita fino al colle dell'Impiso dove arriviamo, come al solito, quasi al buio.
Abbiamo circumnavigato il Pollino con un percorso lungo e di sicura soddisfazione, assolutamente consigliabile. In tutto il giorno abbiamo incontrato dei ciascolatori nella salita verso Gaudolino, e degli altri nella discesa verso Rummo, per il resto solo aria sottile, impronte di lupi, loricati svettanti, faggi rivestiti di ghiaccio e panorami infiniti, senza siepi o colli a limitare lo sguardo.
Alla prossima, amici ed amanti del Pollino!

Il canalone O del Pollino

sabato 18 agosto 2012

Sui passi della Bregaglia. Il passo Cacciabella.



La parete dello Spazzacaldera con le tante vie di arrampicata
In genere chi va in montagna punta alle cime e non tiene in adeguato conto i passi.
Erano questi ad essere utilizzati quando la montagna era vissuta.

Da qui passavano cacciatori, contrabbandieri (e finanzieri), ribelli di varia origine e carabinieri.

Dai passi qualcuno a cominciato ad avviarsi per vedere cosa c'era sulla cime.
(nulla di utile, a parte il paesaggio, perciò può dirsi appropriato la definizione di "Conquistatori dell'inutile" per gli alpinisti).

Non arrivare nemmeno in cima è quindi generalmente percepito come doppiamente inutile,
sarà per questo che su certi percorsi non si incontra mai nessuno.



 
La forra poco prima della fine del bosco
I passi che collegano le valli laterali a nord della Bregaglia sono, a torto, poco frequentate dagli escursionisti.


Ci passa qualche raro sci alpinista a fine stagione (ci sono pendenze e dislivelli sostenuti e molti tratti a rischio slavine) e, nella stagione estiva, qualche alpinista che, al ritorno da qualche via, traversa su altri versanti.

Il passo Cacciabella consente di transitare tra Albigna e Sciora. Si parte dal parcheggio della funivia dell'Albigna,
a piedi o con la funivia.

Il percorso è molto panoramico, in un bel bosco con la vista che man mano si apre su tutta la Bregaglia.

Prima di uscire dal bosco transita nei pressi di un impressionante canalone che precipita nella valle dell'Albigna.




La Cima di Castello ed il lago dell'Albigna

Si esce poi all'aperto, si passa sotto le pareti dello Spazzacaldera e si raggiunge il muraglione della diga.

Da li, seguendo i bolli bianco-azzurri, traversa sui ripidi pendii fino ad un canalone attrezzato con catene.


Di fronte, dall'altro lato del lago, si vede il rifigio dell'Albigna e le belle (e facili) placche dove sono attrezzate delle vie per tutti.

(2 vie da 4 tiri, massimo 5b) altamente consigliate per la bellezza dell'ambiente e la comodità (se si usa la funivia).


Nei pressi del passo

Passato il canalone il sentiero comincia a salire decisamente, sempre ben segnalato, fino a raggiungere il passo con palina e libro di ...passo.

La vista sui ghiacciai della Cima di Castello è magnifica e lo scenario di alta montagna, senza opere umane visibili.

La discesa verso la Sciora è attrezzata senza risparmio, il canale centrale è pieno di sfasciumi (quando non di ghiaccio) e soggetto a qualche scarica di sassi.


Le catene sono sul lato destro e conducono, dopo qualche centinaio di metri percorribili sempre in sicurezza (se si dispone di imbrago e set da ferrata) fino all'uscita del canale.



Nel canale di Cacciabella


Ci sono delle lame di granito che incombono (e che certo prima o poi verranno giù).
Alla fine della lunga serie di catene si segue il sentiero, sempre segnalato in bianco ed azzurro, che porta al rifugio della Sciora.

Anche qui lo scenario è fantastico, col il ghiacciaio che risale 
fino al passo di Bondo e le pareti nord delle Sciore, del Cengalo e del Badile che svettano.

 

Consiglio un binocolo per esplorarle e toccare ... con occhio, i passaggi delle varie vie di salita alle vette.







Qui è stata scritta la storia dell'arrampicata e, con il passare del tempo, si è innalzato il livello di difficoltà andando a percorrere tratti sempre più difficili, sia tecnicamente che per pericoli oggettivi.

E, quasi a confermare queste impressioni, sentiamo il rumore di un crollo tra Cengalo e Badile e vediamo gli elicotteri della Rega andare e venire per verificare e
portare a valle gente.

Da rifugio si può continuare verso il viale (che è dichiarato chiuso a causa dei crolli) o si scende verso la Bondasca.




Il percorso è piuttosto lungo ma vale la pena. E' poi stato recentemente sistemato, per cui si percorre bene con colpi d'occhio sempre diversi su Cengalo e Badile.
L'elicottero in ricognizione sotto il Cengalo
Raggiungiamo prima del tramonto Bondo e poi Promontogno. Qui c'è la fermata del postale con cui si può ritornare all'Albigna e chiudere un anello di grande soddisfazione.

martedì 14 agosto 2012

Dalla Val Codera alla Val Masino per il passo Ligoncio.

Vista sul lago di Mezzola dalla mulattiera per Codera
Con la val Codera non si finisce mai di stupirsi.

Ognuna della valli laterali ha degli angoli nascosti (e faticosi da raggiungere) e, al di fuori dell'itinerario principale, si passano ore senza incontrare anima viva.

La prima parte della salita è molto bella ed apre a bei panorami.




La val Arnasca dai pressi del Brasca

Dopo aver raggiunto quasi tutti i passi della zona, Trubinasca, Teggiola, Barbacan, Spassato,
ed aver vagato da tutti i versanti attorno al vicino ma remoto Pizzo di Prata mi era rimasta la voglia di dare
un'occhiata alla valle Arnasca, di cui avevo più volte ammirato le cascate e l'incombente parete del Pizzo Ligoncio.

Ci si avvia quindi, ad orario comodo, con l'intento di pernottare al bivacco Valli.



Il bivacco Valli al riparo del monolite

Il paese di Codera è una bomboniera. Nel tratto successivo di strada, invece, si paga pegno.

Si mangia polvere e ci si cuoce al sole fino al Brasca.


L'attacco del canale prima del passo.
Da li il colpo d'occhio sulla valle è magnifico, zampilla cascate cascate di acqua mentre sullo sfondo si staglia il Ligoncio.





Per strada incontriamo quelli che saranno i coinquilini del bivacco.

Nel tratto di salita, che incrocia diverse cascatelle di acqua, c'è abbondanza di mirtilli e lamponi per cui ci fermiamo spesso e volentieri a fare scorta di vitamine ed anti ossidanti.

Tratto nel canale
Il sentiero sbuca infine nel pianoro superiore tra quello che resta dell'alpeggio che consiste in vari ricoveri,
più o meno riadattati, che sfruttano gli enormi massi presenti sul piano.

Il paesaggio ha un che di arcaico e misterioso, ma è più luminoso di quanto me l'aspettassi.
Il bivacco è strategicamente posto al riparo di un enorme masso, alto più di venti metri, che lo protegge dalle valanghe che certo passano in abbondanza da queste parti.
 
Le pareti della Sfinge e del Ligoncio dalla cengia

E' stato risistemato da poco e nelle vicinanze c'è abbondanza di acqua.

E' fornito di materassi e coperte, non di gas od altri accessori.

C'è anche chi si è divertito a mettere dei fix, come falesia è un pò scomoda da raggiungere!
La notte passa in allegria, i coinquilini sono matti il giusto.

Arrivano dal bivacco Pedroni, sotto il Porcellizzo.

Sono stati riforniti di una tanica di vino da geologi che andavano via ed hanno pensato bene di non abbandonarlo.

Tratto attrezzato sulla cengia
In questi posti anche il Tavernello assume un gusto speciale!!

Durante la notte passano vari temporali, meno male che siamo al riparo. A tratti i fulmini ci illuminano a giorno ed il tetto di lamiera risuona dei colpi della grandine, fortuna che non ci siamo fidati del meteo e non siamo andati in giro in tenda.

Al mattino il cielo è tutto coperto e l'esposizione nord ovest non aiuta a capire cose evolverà il tempo.

Decidiamo di avviarci comunque verso il passo Ligoncio. Abbiamo il GPS e, male che vada, anche nella nebbia contiamo di riuscire a ritornare giù al bivacco.


In prossimità del passo per fortuna le nuvole cominciano ad aprirsi e quindi proseguiamo a cuore più leggero.


L'attacco non è entusiasmante, la catena parte abbastanza in alto (o forse è la neve è che non mai stata così poca) ed i primi metri sono non banali, complice anche la roccia bagnata.

Prese le catene si prosegue più tranquilli, ma sempre su placche ripide, fino a raggiungere l'intaglio della cresta.

Da qui si traversa sll'altro versante e per una cengia esposta ma non non difficile (a meno non sia innevata) e comunque protetta con catene si raggiunge il passo.

La punta della Sfinge
La vista sulle pareti NE della Sfinge e del Ligoncio è assolutamente meravigliosa e ripaga della fatica per arrivare fin qui.

 
Dopo una sosta e qualche foto di rito, visto che dal versante della Val Masino le nuvole insistono, rinunciamo ai piani di ritornare in val Codera per il passo del Barbacan,
ed accettiamo di buon grado l'offerta del passaggio a Novate da parte dei nostri compagni di bivacco.

Devono infatti comunque ritornare la per recuperare un loro amico che, per problemi al ginocchio, ha rinunciato a salire al passo ed ha deciso di ridiscendere giù per il Brasca.

La discesa verso il rifugio Omio è molto più semplice e non presenta nessun problema.

Dopo una sosta ristoratrice, in cui prosciughiamo viveri e bevande residue, arriviamo con calma ai Bagni di Masino.


sabato 28 luglio 2012

In Catalunya - Pirenei Orientali

Panorama dalla cima del Gra de Fajol (2700 mt)

Si parte per Nuria. I pigri prendono il treno a cremagliera. Alcuni dei locals ci tengono a farci vedere la valle e quindi ... ci tocca! Il paesaggio qui è diverso dall'alta Garrotxa. Siamo più in alto, e la roccia predominante è il granito (anche se ci sono varie intrusioni di altri materiali, tra cui serpentino ed una sorta di marmo).
Nuria, il lago ed il monastero
Sembra di essere in val Masino, la valle è stretta con grandi salti di roccia e cascate di acqua.

Giunti a Nuria sosta ristoratrice, veloce visita al santuario e riunione del gruppo.

Nel frattempo nubi veloci cominciano ad apparire nel cielo che prima era assolutamente terso.

Un consulto e si decide di evitare il percorso di cresta (che ci avrebbe fatto passare per due vette).



Faremo il percorso detto 'degli ingegneri' che per raggiungere il rifugio aggira tutto il massiccio montuoso.


Vediamo degli avvoltoi sul percorso, all’improvviso poi si scatena, nel giro di pochi minuti, un violento acquazzone con grandine; non facciamo quasi in tempo a coprirci che siamo completamente lavati.



Sul sentiero per Coma de Vaca
Rimpiango di non avere sovra pantaloni e scarpe alte (mai fidarsi del meteo in montagna), fortuna che va via con la stessa velocità con cui è arrivato.


Il temporale dei record (per fortuna). Il percorso, infatti, è piuttosto impervio, ricorda il sentiero Roma. Anche il paesaggio è molto simile.


Il sentiero con i continui sali e scendi per valli scoscese che ci conduce al rifugio Coma de Vaca, sotto la pioggia sarebbe stato piuttosto pericoloso.

Dei camosci ci controllano a debita distanza, più incuriositi che impauriti.
Camoscio



A sera siamo al rifugio, la zona deve essere un vero paradiso per lo scialpinismo, anche se molto pericoloso per le bizzarrie del tempo.

Raccontano di quattro sci-alpinisti che, lo scorso inverno, erano saliti leggeri e, colti dalla tormenta, sono stati trovati congelati e ancora in piedi.
 

Il giorno dopo si sale ad un passo e si fa una lunga camminata in cresta con saliscendi e paesaggi che cambiano in continuazione.
Lungo il sentiero degli ingegneri

Durante una sosta osserviamo diversi branchi di camosci che traversano da un pendio all'altro passando di corsa sotto di noi.


Completiamo con la salita del Gra de Fajol, una cima di 2700 con in vetta una roccia bianchissima, sembra marmo.


Segue una lunga e frettolosa discesa (temevano un altro temporale che poi non è giunto) in una valle assolutamente bucolica, tra cavalli al pascolo, camosci, marmotte e rapaci.


Targa sulla cima del gra de Fajol,
Il testo di una poesia di Kavafis trascritto (e cantata) in catalano.
Lluis lach verges, Viatge a Itaca

Il giorno dopo non ci resta che la mattinata per fare una visita alla cittadina di Banyoles, le sue chiese, i suoi canali e il suo lago e accomiatarci con un pranzo etnico assolutamente delizioso.

I nostri organizzatissimi e simpaticissimi ospiti ci hanno preparato piatti tipici a prova del miglior chef, innaffiati con ottimo vino e, a concludere, con il tipito amaro locale, la ratafia.
Ci salutiamo come se fossimo amici di vecchissima data, la montagna ha fatto il solito miracolo di fare conoscere a fondo le persone in pochi giorni.

Quando si suda e si cammina assieme i caratteri escono necessariamente allo scoperto, non si può fingere a lungo.

Senz’altro ci rivedremo presto “fins aviat amics Catalani”.

giovedì 26 luglio 2012

In Catalunya - Costa Brava, da Roses a Cadaquès


Il tratto di costa iniziale
Questa doveva essere una tappa marittima di defaticamento e alleggerimento, invece alla fine abbiamo fatto 20km ed 800 mt di dislivello. Tutti di gran soddisfazione!

Partiamo da Roses ed entriamo dopo poco in una zona non intaccata dal turismo.
Questo tratto di costa era stato dichiarato zona militare e dotato di fortificazioni ai tempi del dittatore Franco.

Ciò ha consentito di mantenere lontane dalle grinfie del mercato immobiliare (poi finito in bolla con le conseguenze ben note) una bella fetta di costa. 








Ci siamo quindi risparmiati il triste spettacolo (toccato con mano a Lanzarote) di ampi tratti di costa devastati e poi abbandonati a se stessi, con migliaia di case invendute e lasciate a disgregarsi e marcire al sole (nessuno fa più manutenzione e le società costruttrici sono fallite).


Il percorso va su e giù dalla costa, tra pini, e macchie di lentischi, rosmarino, timo e i tanti profumi della macchia costiera mediterranea.

Ricorda le cinque terre, la costiera amalfitana o di Maratea. La differenza è che, per diversi chilometri, non si vedono costruzioni.

L'ultimo tratto di macchia prima di Cadaquès



Facciamo un primo bagno tonificante in una caletta, passiamo per la Cala Montjoi, sede del celeberrimo santuario culinario di Ferran Adrià.

Risaliamo un successivo tratto di costa fino raggiungere un promontorio con una torre di avvistamento.








Da qui scendiamo a una alla baia, dove approfittiamo per un secondo bagno con ristoro.

C’è una caratteristica sorgente di fresca acqua dolce che sgorga direttamente dalla montagna a meno di un metro dal livello del mare.

Per approvvigionarsi si toglie un tappo di sughero, che fa si che l'acqua non si disperda. 




Cadaquès in vista
Neanche qui c'è l'invasione di ombrelloni a pagamento, la spiaggia è a disposizione di tutti.
L'ultima risalita è duretta, si deve quindi attraversare una macchia notevolmente ostica, con tante piante poco 'amichevoli'.

Il nostro esperto del posto sguscia tra questi cespugli a caccia del percorso migliore con l'agilità di un cinghialetto (anche se poi porterà i segni delle “carezze” della vegetazione). 





Le ultime difficoltà fanno ancora di più apprezzare l'uscita in vista di Cadaquès, regno di Salvador Dalì.

Ci sono delle baie assolutamente spettacolari, non si vorrebbe più andar via. Invece c'è solo tempo per un ultimo bagno frettoloso perché dobbiamo raggiungere un'altra meraviglia architettonica a mille metri d'altezza sul mare. 





San Père de Rodes

Saliamo al monastero di Sant Père de Rodes e restiamo bocca aperta nel vedere le soluzioni costruttive usate, le colonne corinzie (romane?) che sostengono la navata della chiesa e l’imponenza della struttura.


Il tutto condito con aneddoti, leggende e storie locali del nostro ineffabile accompagnatore.





Nel monastero



Le particolari colonne

Le imponenti strutture murarie
Concludiamo con una degustazione in una cantina, dove assaggiamo oli e vini locali. Tutto delizioso.

mercoledì 25 luglio 2012

In Catalunya - Sadernes-Sant Aniol-Cascata del Brull-Cima des Bruixes-Comanegra-Beget-Olot


Aggiungi didascalia
Prima escursione in montagna. Si parte per una sterrata incassata tra le gole. Raggiungiamo la località Sant’Aniol, luogo di particolare affezione per i nostri ciceroni.

Sant Aniol

Qui ci sono un’antica chiesa ed un edificio annesso su cui stanno lavorando per trasformarlo nel ‘loro’ rifugio.

Dopo una pausa rigenerante,
facciamo una deviazione nelle gole del Brull.

Pare di essere nel canyon del Raganello, con un po’ di acqua in meno, ma alcune vasche sono notevoli.


Riprendiamo il percorso con il sentiero che sale e s’inerpica sempre più stretto e ripido, su per montagna.

Questo tratto è duro, anche per il caldo che comincia a farsi sentire.

La valle attorno è assolutamente selvaggia, una macchia mediterranea intricatissima, prevalentemente di lecci, ginepri, bosso, tra cui si apre a fatica la pista.

Dopo quasi mille metri secchi di dislivello arriviamo finalmente ad una sella da cui comincia un'interminabile percorso di cresta.


Gole del Brull
Passiamo per la cima delle streghe (Bruixes) e, dopo svariati saliscendi, al punto più alto, il Comanegra.

Per lungi tratti siamo a cavallo del confine con la Francia. Il paesaggio è simile a quello  dell'Appennino meridionale.

Il versante nord è ricoperto dalla faggeta fino in cima.

Quello sud presenta pascoli sotto il crinale e macchia mediterranea più in basso.

Arriviamo a Beget solo alle 8 di sera, dopo 12 ore di marcia, 26 km percorsi e 1700 metri di salita, una notevole escursione.
I boschi dell'alta Garrotxa


Il cristo di Beget

Beget dall'alto del sentiero
Il paese è un presepe di pietra incastonato tra i monti.

La chiesa ha al suo interno un vero e proprio gioiello dell'arte romanica, un cristo ligneo in maestà dell'anno mille.

Ha uno sguardo assolutamente particolare, ci parla attraverso i secoli.







Arriviamo infine esausti ma soddisfatti all'alloggio, dove ci accingiamo alla cena a orari iberici, come sarà sempre in questa settimana.

Il ponte di Besalù

Il giorno dopo, per smaltire l'escursione del giorno precedente, è prevista una giornata turistica.

Si  comincia nella cittadina di Besalù. Neanche a dirlo un'altra cittadina in pietra con uno scenografico ponte che le fa da degno ingresso.

Il ponte è costruito in 'curva' per sfruttare delle roccie sul fondo della valle dove scorre il fiume che gli fanno da pilastri naturali.

Anche qui c'è stata una storia di convivenza pacifica con la comunità ebraica che, attorno al 1400, è stata prima mutata in separazione.

Era stato infatti costruito un ghetto separato con mura dal resto della città. In seguito si è seguita la prassi "convertir o matar", e la comunità si è dispersa od adeguata ai tempi (convertita).

Notevole la presenza di un 'Mikva' un luogo dedicato ai bagno purificatori rituali e piuttosto raro in Europa. Ce n'è uno in Francia ed uno a Palermo.

 In seguito visitiamo il centro della città e la sua cattedrale.




Ci avviamo quindi verso la zona vulcanica facendo una veloce tappa a un paese posto su uno scenografico sperone basaltico, simile ad alcuni paesi del centro Italia.

Raggiunta Olot visitiamo il museo dei vulcani dove ci vengono illustrate le caratteristiche di questa zona vulcanica, unica del continente iberico.

Noi italiani in quanto a vulcani siamo ben 'fortunati' (si fa per dire). Tra Etna, Vesuvio ed Eolie siamo assolutamente ben forniti.

Resta da notare come, pur avendo a disposizione solo un piccolo territorio del genere, siano riusciti a valorizzarlo e raccontarlo così bene.

Nel museo ci fanno anche assistere a un video sui terremoti con tanto di simulazione (a sorpresa) di un terremoto del 6° grado.
Utile per far toccare con mano le sensazioni che si provano.
Il vulcano usato come cava
Raggiungiamo poi con una breve camminata la chiesa di Santa Margherita, posta esattamente al centro del cratere di un vulcano.

Visitiamo infine un altro vulcano, che era stato usato come 'fornitore' di materiale da costruzione.

Una volta che la cava è stata dismessa, è stata resa fruibile ai visitatori dandogli così la possibilità di vedere come è fatto un cratere internamente.

Santa Pau
Ultima tappa alla cittadina medioevale di "Santa Pau" (Santa Pace, bel nome). Con la consueta rassegna di stradine in pietra, chiesa e porticati ombrosi.